Con oltre 118K follower su Instagram (@camilla.bellini), Camilla Bellini è oggi una delle voci più seguite e riconosciute nel mondo del design. Designer e creatrice di contenuti, attraverso i suoi progetti e i suoi canali digitali aiuta le persone a vivere e scegliere con eleganza, trasformando il design in una vera e propria esperienza di cultura quotidiana.
Per lei, infatti, il design non è solo estetica: è cultura, identità e armonia. In questa intervista ci racconta il suo percorso: dall’incontro con la lampada Arco dei fratelli Castiglioni – la scintilla che ha acceso la sua passione – fino ai progetti internazionali e al dialogo costante con una community globale che la segue con entusiasmo.
Il design è cultura, storia, identità e vita quotidiana. Vorrei che tutti ne fossero consapevoli: avere uno spazio curato e accogliente significa circondarsi di benessere. E il benessere non è un privilegio per pochi, ma un diritto di tutti.
Camilla Bellini e il design come linguaggio di vita
Camilla, partiamo dal principio: quando hai capito che il design sarebbe stato il tuo linguaggio e come sei arrivata a farne la tua professione?
Il design probabilmente è sempre stato parte della mia vita, anche prima che me ne rendessi conto. Fin da bambina la bellezza, le proporzioni e la simmetria mi affascinavano. Poi, alle superiori, l’incontro con la lampada Arco dei fratelli Castiglioni è stato una rivelazione: un momento quasi magico. Da lì ho intrapreso un percorso di studi che mi ha permesso di trasformare quella passione in una professione. Formazione, esperienze e il coraggio di costruire un progetto tutto mio hanno fatto il resto.
Nei tuoi progetti la parola chiave sembra essere “eleganza”. Come la traduci in scelte cromatiche, materiali e atmosfere, e come riesci a mantenere coerenza tra spazi, arredi e dettagli?
Ritengo che l’eleganza sia armonia e mai ostentazione. Nei miei progetti la traduco con palette cromatiche equilibrate, materiali autentici, un uso sapiente della luce e atmosfere capaci di accogliere. La coerenza nasce dal rispetto per il progetto nel suo insieme: ogni dettaglio, dall’arredo all’illuminazione, dialoga con gli altri elementi come in un’orchestra. Persino i contrasti, sempre presenti, non sono mai fini a sé stessi, ma servono ad arricchire la sinfonia, donando ancora più carattere agli ambienti.
La tua mission è diffondere la cultura del design semplificandola e avvicinandola alle persone. In che modo il digitale ti permette di trasformare un concetto complesso in qualcosa di accessibile senza banalizzarlo?
Il digitale è un mezzo straordinario perché mi permette di entrare in contatto con moltissime persone. Sui miei canali parlo di design e di cura della casa (e non solo) attraverso linguaggi visivi e narrativi immediati, capaci di arrivare a tutti. Cerco di dare consigli, condivido esperienze e punti di vista con l’obiettivo di mantenere sempre alto il livello professionale, ma rendendo al tempo stesso la materia assolutamente accessibile.
Quanto conta per te il dialogo con chi ti affida un progetto? Come riesci a trasformare esigenze e desideri in soluzioni progettuali che rispettino la personalità di chi abiterà quegli spazi?
Il dialogo con chi mi affida un progetto è fondamentale. Un interior non nasce mai solo da me, ma dall’incontro con chi vivrà quello spazio nella propria quotidianità. Per questo ascolto, domando e osservo. Mi interessa capire non solo cosa piace, ma anche qual è lo stile di vita, quali sono le abitudini e le passioni di chi abiterà quello spazio. Da lì prende forma un lavoro sartoriale, che porta sempre a soluzioni uniche e mai standardizzate.
Collabori con brand e aziende di arredo: come li scegli? Quanto pesano etica, qualità e coerenza con il tuo stile quando decidi di associarti a un marchio?
La coerenza è per me un aspetto imprescindibile. In una collaborazione cerco innanzitutto qualità e valori condivisi. È essenziale essere allineati nella concezione del design, del lavoro e del prodotto. L’etica ha un peso decisivo: non potrei mai associare il mio nome a realtà che non hanno la stessa mia attenzione per la qualità e per l’autenticità.
Molti brand faticano a comunicare nel modo giusto sui social: quali errori vedi più spesso e cosa consiglieresti alle aziende di design che vogliono davvero dialogare con le persone?
L’errore più comune è pensare che basti “mostrare” un prodotto perché le persone, in realtà, cercano storie, emozioni e ispirazioni. Ai brand, se posso, consiglio di cambiare prospettiva: non raccontare solo ciò che vendono, ma ciò che fanno vivere. Meno autoreferenzialità e più empatia.
Oggi il design vive anche attraverso i social. Qual è la tua strategia per raccontare progetti, idee e ispirazioni in un feed che sia coerente, estetico ma anche autentico?
A dire il vero, non ho una strategia definita. Sui social scelgo semplicemente di essere fedele a me stessa, raccontando esperienze, punti di vista e curiosità. La coerenza visiva e narrativa c’è, ma nasce in modo spontaneo da quello che è il mio stile e gusto personale. Condivido ciò che amo, ciò che faccio e ciò che penso ed è questo che genera autenticità.
Qual è la parola che, oggi, descrive meglio il tuo modo di progettare e comunicare?
Raffinatezza. Come ricerca di equilibrio, essenzialità, eleganza e attenzione per i dettagli.
I tuoi reel sono seguitissimi e spesso virali. Ci racconti come nascono: dall’intuizione alla scelta della musica, dalla regia alla pubblicazione?
I miei contenuti nascono in modo naturale, da ciò che ho da dire e dalla voglia di condividere esperienze e punti di vista con chi mi segue. Poi cerco la modalità più coerente e adatta per raccontarli. La regia è semplice, perché faccio tutto da sola: mi metto davanti al telefono e inizio a registrare. Un po’ di montaggio, giusto per rendere il contenuto più scorrevole, una musica di sottofondo quando serve e sono pronta per la pubblicazione.
Hai creato rubriche che il tuo pubblico riconosce e aspetta. Qual è la forza di un format ricorrente e come riesci a mantenerlo fresco e interessante nel tempo?
La forza sta nel riconoscimento perché le persone sanno cosa aspettarsi, ma ogni volta trovano una declinazione o una sfumatura diversa. Io stessa mi diverto a cambiare prospettiva, tono ed esempi, così da mantenere viva la curiosità.
Nei tuoi contenuti non mostri solo spazi, ma storie: ogni casa diventa il racconto di chi la abita. Quanto conta per te la componente narrativa nel design e quanto incide sul processo creativo?
Conta moltissimo. Senza narrazione, uno spazio – come qualsiasi altro progetto – resta solo una somma di oggetti. Una storia autentica, invece, rende un ambiente unico, lo arricchisce di emozioni e significati. La componente narrativa dunque è sempre al centro delle mie scelte creative e progettuali.
Hai scritto un libro sull’influencer marketing: quali punti di contatto vedi tra la comunicazione di un brand e quella di un designer che oggi deve anche essere “creatore di contenuti”?
Penso che oggi sia fondamentale, soprattutto per un chi fa un lavoro creativo, curare la propria presenza sulle piattaforme social: serve per raccontarsi, farsi conoscere e condividere il proprio punto di vista. Il punto di contatto nella comunicazione tra un professionista e un brand sta nella necessità di costruire una relazione con le persone. Che tu sia un’azienda o un designer, devi saper ascoltare, creare valore e dialogare. Essere creatore di contenuti significa tradurre il proprio mondo in un linguaggio condiviso, accessibile e anche riconoscibile.
Il tuo pubblico vede il risultato finale, ma cosa succede dietro le quinte di un progetto o di un reel? Quanto lavoro c’è in termini di ricerca, styling, editing e coordinamento?
So che la maggior parte delle volte non è così, ma nel mio caso i contenuti destinati ai social nascono in modo molto spontaneo: non ci sono grandi programmazioni o regie dietro quello che vedete sui miei canali. Come ho detto prima, faccio tutto da sola. Il mio è un rapporto diretto con le persone che mi seguono che si arricchisce ogni giorno. Le fasi più lunghe sono due: mettere ordine tra le tante idee che ho da condividere e rispondere sempre a tutti i messaggi e commenti che ricevo.
Diverso è invece il dietro le quinte dei progetti che sviluppo offline, dove il lavoro è decisamente più articolato e complesso.
I tuoi progetti hanno spesso un tocco sofisticato, ma mai ostentato. Come si comunica il lusso in modo elegante e contemporaneo, senza perdere autenticità?
Il lusso, per me, è sinonimo di qualità e benessere. Dal mio punto di vista, in un progetto lo si comunica attraverso materiali autentici, linee senza tempo, dettagli curati e prodotti concepiti per durare. Non amo la cultura del “fast”, preferisco tutto ciò che è pensato per resistere nel tempo.
Progetti a New York, Doha, Milano: cosa porti con te da ogni esperienza internazionale e come la traduci nei contenuti digitali per il tuo pubblico globale?
Ogni progetto, ogni esperienza e ogni città lascia un segno che arricchisce il mio bagaglio personale. Tutto questo si riflette nei miei contenuti: a volte attraverso il racconto diretto di un’esperienza, altre volte come sintesi delle tante cose vissute e apprese lungo il percorso.
I tuoi follower interagiscono molto: come usi il feedback della community per orientare i prossimi contenuti o persino le scelte progettuali?
I feedback sono preziosissimi, li ascolto sempre e spesso ne traggo spunto. Sui social, molte idee per nuovi contenuti nascono proprio dai commenti o dalle domande, a cui spesso rispondo anche con un video, così da creare un dialogo ancora più diretto con le persone.
Anche nelle in ambito progettuale i feedback sono fondamentali perché mi aiutano a realizzare soluzioni davvero vicine alle persone, adatte alle loro esigenze e a rendere ogni progetto il migliore possibile.
Quanto è difficile mantenere qualità e coerenza in un mondo social che premia velocità e trend effimeri?
Credo che la qualità premi sempre, anche se spesso richiede più tempo. Personalmente ho sempre preferito costruire un percorso solido e duraturo, piuttosto che inseguire mode passeggere. Detto questo, non escludo di “piegare” qualche trend alla mia personale narrazione del design, rendendolo coerente con il mio linguaggio.
La casa è per te solo spazio o anche specchio dell’identità di chi la vive? Come inviti le persone a progettare in modo più consapevole?
La casa è senza dubbio lo specchio dell’identità di chi la vive. Nel bene e nel male non è mai solo uno spazio: racconta sempre chi siamo. Nel mio piccolo, invito le persone a pensare alla propria casa con consapevolezza, ricordando che ogni scelta – un colore, una forma, un materiale – è un messaggio che ci rappresenta. Gli spazi in cui trascorriamo la nostra quotidianità, e quindi la nostra vita, dovrebbero essere ordinati, curati e accoglienti perché questo influisce in modo profondo sul nostro benessere e su quello di chi ci sta intorno.
TikTok, podcast, mini-docu series: quali nuovi format ti incuriosiscono per il futuro?
Trovo sempre interessante esplorare i nuovi format e capire quali sapranno affermarsi di più. I podcast offrono un racconto intimo e profondo, le mini-docu series sono l’occasione ideale per dare spazio a storie che meritano di essere approfondite, TikTok, ormai diffusissimo, è invece un canale che consente di raggiungere pubblici ampi.
Qual è il messaggio che vuoi lasciare a chi ti segue e a chi crede nella cultura del design?
Il design è cultura, storia, identità, vita quotidiana, oltre che bellezza. Vorrei che le persone ne fossero consapevoli: avere uno spazio curato, accogliente e capace di rispecchiare gusti, vita e abitudini significa circondarsi di benessere. E il benessere non è un privilegio per pochi, ma un diritto di tutti.
Le immagini a corredo dell’articolo sono gentilmente concesse da Camilla Bellini – Studio di Progettazione.
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