Lo stile Art Déco è l’origine di un’estetica che ha saputo omaggiare la modernità con un’eleganza tuttora insuperata. Nato negli anni ’20 come reazione al flusso organico dell’Art Nouveau, il Déco ha trasformato geometrie e materiali in una grammatica precisa del prestigio, capace di attraversare oceani e decenni senza perdere forza né rilevanza.
È la prima espressione pienamente internazionale del design moderno: dalle facciate di New York alle sale da tè parigine, dai transatlantici alla nascente industria del cinema. Ma mentre il mondo correva verso il progresso, l’Art Déco sposava l’avanguardia con un gusto artigianale, unendo linee rigorose a materiali esotici, superfici specchianti a volumi pieni, senza mai perdere il contatto con il senso del sublime.
Oggi, dopo anni di minimalismo esasperato, l’Art Déco torna a parlare la lingua del desiderio: un desiderio di materia, di dettaglio, di identità visiva. Ma lo fa con una nuova consapevolezza. Nei progetti italiani contemporanei, non è più l’ostentazione a guidarlo: bensì il saper dosare—un uso misurato dell’ottone, una boiserie lucida calcolata, un tappeto geometrico capace di accendere un intero living.
All’estero, invece, resta un codice immediatamente riconoscibile per comunicare esclusività (si pensi ai boutique hotel di Miami Beach o alle residenze di Midtown Manhattan), ma anche nei nuovi palazzi di Dubai o Doha, lo ritroviamo sedimentato nelle lobby, nei ristoranti panoramici, persino nelle spa.
Se guardiamo ai trend di mercato, è chiaro: ciò che ritorna del Déco non è una nostalgia decorativa, ma il bisogno — forte e attuale — di un lusso che sappia essere narrativo, tattile, su misura. Ed è proprio qui che l’interior design di oggi incontra la sua sfida più raffinata: reinventare il Déco senza imitarlo, interiorizzarne la logica senza replicarne la forma.
Materiali che raccontano: il Déco oltre il lucido
Il linguaggio materico dell’Art Déco non si limita alla lucentezza: racconta storie. Non basta dire “ottone e velluto”: bisogna saperli posare, bilanciare, contestualizzare. E oggi, nel panorama dell’interior design contemporaneo, ciò che definisce davvero un interno come “Déco” non è il materiale in sé, ma il rapporto tra geometria, tattilità e luce.
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L’ottone: da protagonista a accento

Se negli anni Trenta il metallo era visto come simbolo puro di modernità, oggi torna con una patina sofisticata. Spazzolato, satinato, leggermente scurito: mai troppo lucido, mai “nuovo di zecca”. In Italia, gli atelier che lavorano l’ottone a mano stanno vivendo una rinascita, a partire da realtà come De Castelli e Ghidini 1961. All’estero, nomi come Apparatus o Lambert & Fils reinterpretano l’ottone con composizioni plastiche che sarebbero piaciute a Ruhlmann.
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Legni scuri e boiserie: il ritorno del volume

Macassar, noce canaletto, frassino tinto caffè: la nuova estetica Déco accoglie il legno scuro come profondità più che come ornamento. Viene scelto non per fare “antico”, ma per contenere la luce. Le boiserie diventano cornici architettoniche, supporti per la luce radente, elementi che disegnano lo spazio prima ancora che lo decorino.
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Vetro scanalato e opalina: superfici che filtrano

Tra le tendenze più forti degli ultimi due anni, il vetro cannettato (fluted glass) è uno dei rimandi Déco più espliciti, usato per separare senza dividere, schermare senza chiudere. Si abbina a lampade in opalina o vetro satinato a strati: un equilibrio di diffusione luminosa e rifrazione geometrica.
- Marmo: meno vene, più narrazione

Bianco venato? Superato. Oggi l’anima Déco si manifesta nel verde guatemala, nel rosso Levanto, nel portoro lucido: marmi che raccontano lussuosa complessità geologica, spesso disegnati in intarsi geometrici o grandi campiture.
In tutto questo, una cosa è certa: il nuovo Art Déco non cerca la ricchezza “instagrammabile”, ma la materia che diventa cultura.
La palette cromatica Déco oggi: il nuovo lusso è fatto di sfumature (e sottrazioni)

Il colore nell’Art Déco storico è sempre stato un territorio di dichiarazione: contrasti netti, toni gioiello, accostamenti vibranti che volevano imprimere un senso di modernità scenografica. Ma nel contesto del design contemporaneo — soprattutto italiano — la palette Déco si è alleggerita, raffinata, ed è forse proprio in questa sottrazione che ritroviamo tutta la sua forza narrativa.
Dalle cromie gioiello alla sensualità della terra
Le sfumature “jewel tone” — verde smeraldo, blu zaffiro, rosso rubino — resistono, ma sono dosate con intelligenza: osate solo su un divano o una parete protagonista, mai sull’intero ambiente. Intorno a loro, lo spazio respira con neutri sofisticati: latte, burro, ostrica, tortora, grigi morbidi, pepe rosa. Questo dialogo crea interni che parlano di opulenza non ostentata, e funziona tanto nei salotti milanesi quanto negli attici londinesi rivestiti in boiserie laccata.
Il nero: la linea che struttura
Nessun altro colore come il nero incarna l’ossatura grafica dell’Art Déco. Oggi torna con bordini sottili, filettature metalliche, strutture a vista. È un “contenitore” visivo, non un muro. E genera profondità senza chiudere lo spazio.
Ottone e bronzo: il colore che non esiste ma cambia tutto
Il metallo non è solo materiale: è anche tonalità. L’oro pieno è fuori dai radar, mentre dominano gli ottoni spazzolati, le finiture bronzate, i riflessi del rame anticato. Si inseriscono come luce calda nei toni freddi, o come controcampo grafico sui toni chiari.
Contrasto materico prima che cromatico
Uno dei punti chiave del nuovo Déco non è l’accostamento di colori, ma dei materiali: velluto contro marmo, opalina contro legno spazzolato, metallo mat contro laccato lucido. La palette non è mai statica: vive nei dialoghi tra superfici.
E nelle versioni più audaci del nuovo Déco internazionale? A Miami si osa ancora con rosa albicocca e ottanio, mentre a Shanghai vediamo lamé e smalti color petalo. In Italia invece la tendenza continua a indirizzarsi verso la tonalità polverosa—quella tra grigio e cipria, tra cognac e cardamomo—che rende il Déco un codice sensoriale e urbano.
I designer di oggi che riscrivono il Déco: oltre il revival, un nuovo linguaggio del progetto
Lo stile Art Déco non torna nei progetti di oggi come un archivio da sfogliare, ma come un’eredità viva che plasma forme, volumi, materiali e atmosfere. A reinventarlo con rigore e poesia non sono solo i grandi brand del lusso, ma un gruppo selezionato di designer e studi che parlano una lingua internazionale, colta e trasversale: tra Milano, Parigi, New York, Beirut, Shanghai.
Eccoli: i nomi che non citano il Déco, lo riattivano.
Dimore Studio (Milano) – Il Déco che diventa teatro silenzioso
Britt Moran e Emiliano Salci non dichiarano mai “facciamo Art Déco”: lo evocano. Il loro uso della luce morbida, delle geometrie in dialogo con il tempo, dei materiali al limite del tattile – ottone satinato, velluti avorio, vetro cannettato – crea environments sospesi, quasi cinematografici, in cui il Déco entra da un lato elinge, come una memoria incarnata nell’aria.
Humbert & Poyet (Monaco/Parigi) – Struttura come gioiello
Il duo franco-monegasco ha fatto delle architetture interne un omaggio continuo alle simmetrie e ai pattern Déco. Iconico il loro lavoro per il ristorante “Beefbar” a Parigi: boiserie scure, inserti in onice verde, profili metallici come guarniture di un abito couture. Qui il Déco non nasce dagli oggetti, ma dall’intero gesto spaziale.
India Mahdavi (Parigi) – Déco come colore fisico
La designer franco-iraniana ha fatto del rosa un inno progettuale (celeberrimo il Gallery at Sketch, Londra). Ma il suo vero punto di contatto con il Déco è la capacità di fare del colore un volume, non un tema. “Posare” un tono come fosse un materiale è la sua firma – un’eredità diretta di un Déco che amava saturare lo sguardo.
Kelly Wearstler (Los Angeles) – L’eccesso come metodo
In America, il Déco non è mai davvero scomparso. La sua interprete contemporanea più audace è Kelly Wearstler: pattern a zigzag, marmo in forti venature, volumi pieni e dinamici, lampade scultoree. È la luxury maximalist che traduce il glamour del Chrysler Building in interni scolpiti e sensuali per l’alta ospitalità californiana.
Michael Anastassiades (Londra) – Il Déco nella sua forma più segreta
Parlare di Déco in Anastassiades significa capovolgerlo: ridurlo alla pura essenza. Linee filiformi, ottone satinato, opaline sferiche che ricordano le applique parigine del ’32 – ma in sottrazione totale. Le sue luci sono una specie di “Déco zen”, usate per dare ritmo e gerarchia senza mai ricadere nella replica.
Formafantasma (Milano/Rotterdam) – Il Déco come memoria critica
Il duo italo-olandese lavora sul materiale come storia. Non citano mai formalmente il Déco, ma in progetti come “Ore Streams” o le installazioni per Louis Vuitton Fondation emerge una capacità tipicamente déco: quella di trasformare il materiale in manifesto culturale.
Se tra un secolo qualcuno cercherà di capire cosa fosse “l’eleganza 2025”, non potrà prescindere da questi nomi. Il Déco, oggi, non ha bisogno di essere rifatto: vive dentro l’architettura più concettuale, nelle curve calibrate del lighting design, nei velluti couture dei nuovi contract hotel, nei profili minimalisti degli arredi scultorei.
Come arredare oggi in stile Art Déco: 5 oggetti (davvero) contemporanei selezionati da chi conosce il linguaggio
Arredare oggi in stile Art Déco non significa riproporre un passato in forma caricaturale. È un’operazione di cultura del progetto: proporzione, luce, finiture, e soprattutto materia.
Il rischio? Cadere nello stereotipo dell’oro ovunque, delle curve forzate o di tappeti geometrici da set teatrale. Il vero Déco contemporaneo abita i progetti in modo calibrato, letterario, costruendo fascino attraverso il rigore e la sensualità materiale.
Ecco 5 oggetti italiani reali che interpretano questa grammatica in modo coerente:
Tavolo Talos – Bontempi

Designer: Studio Contromano
Materiali: Base in metallo laccato (disponibile in finitura ottone – “gold”), piano in ceramica, cristallo o legno impiallacciato.
Perché è Déco: la base ellittica monumentale e la laccatura ottone evocano lo spirito architettonico e ricercato dell’Art Déco, senza nostalgia. Il piano ricercato in ceramica o cristallo fumé completa l’estetica sofisticata, perfetta per un dining scenografico.
Letto Dolcevita – Cantori

Designer: Loriano Barani
Materiali: struttura in metallo con bagno galvanico oro pallido, giroletto imbottito (rivestimenti personalizzabili in tessuto, velluto, pelle, ecopelle)
Perché è Déco: le volute dorate della testata evocano lo stile decorative degli anni ’30, la combinazione metallo + imbottito dialoga con la profondità formale tipica dell’Art Déco.
Specchio “Dorian” – FIAM Italia

Materiali: Vetro fuso curvato e retroargentato; versione grigio fumé o bronzo
Perché è Déco: l’alternanza tra superfici sfaccettate e continuità riflettente evoca l’architettura solida e geometrica degli interni anni ’30.
Mobile bar “Tarantino” – Ghidini 1961

Designer: Lorenza Bozzoli
Materiali: Ottone fuso, marmo levigato, legno laccato
Perché è Déco: è un oggetto-scultura che unisce ritualità da salotto borghese, lusso materico e struttura architettonica: una sintesi aggiornata dell’idea di “cocktail cabinet”.
Divano “Budapest Soft” – Baxter

Designer: Paola Navone
Materiali: Pelle pieno fiore, cuciture visibili, profondità generosa
Perché è Déco: celebra il volume come presenza scenica, con una curva morbida che non rinuncia al carattere. Un gesto elegante, sobrio, essenziale ma altamente evocativo — come la seduta di una suite parigina reinterpretata oggi.
Come inserire un solo pezzo Art Déco in uno spazio moderno (senza rovinare l’equilibrio del progetto)
Inserire un oggetto Art Déco in un interno moderno è un’arte di equilibrio. Non si tratta di “allestire uno spazio”, ma di attivarlo: come un punto di fuga narrativo, un accento visivo forte ma calibrato, che non compromette la purezza del progetto ma lo arricchisce. Ecco una guida pratica, ragionata e professionale.
Scegli un oggetto con carattere architettonico, non solo decorativo
Un vero pezzo Déco non è mai solo “bello”, è strutturale: un tavolino con base scultorea, uno specchio importante, una lampada che “arreda” anche spenta. Evita oggetti puramente ornamentali (cornici, soprammobili) e scegli elementi che intervengono sulla percezione dello spazio.
Esempio efficace: uno specchio sagomato con cornice in ottone satinato al posto di un quadro sopra il divano → crea verticalità e introduce luce, dialoga con l’ambiente senza sovrastarlo.
Lavora con il contrasto materico, non solo formale
Un oggetto Déco funziona se riesce a dialogare con ciò che gli sta attorno: se hai un interno minimal in legno chiaro e gres, inserire una madia in legno e ottone con superficie lucida crea un contrasto sofisticato e intenzionale, non un’intrusione.
Esempio pratico: in un open-space con cucina bianca minimal e pavimento in microcemento, un mobile bar lucido color petrolio con inserti in ottone diventa l’“inciso narrativo” che eleva l’insieme.
Ambientalo con la luce giusta
Il Déco vive (e muore) con la luce. Se inserisci un elemento iconico come una lampada in opalina e ottone, assicurati di avere un dimmer o una temperatura calda che ne faccia risplendere la texture. Non deve sembrare un corpo estraneo appena acceso.
Hint da interior designer: una luce radente su uno specchio o madia con superficie lucida crea un effetto “cinematico” silenzioso e prezioso.
Fallo respirare: la “regola del negativo”
Il singolo pezzo Déco deve avere intorno a sé spazio visivo. Niente boiserie adiacenti, niente pattern alle spalle: lascia il fondo pulito, in tinta unita, meglio se chiaro o leggermente satinato. Questo consente all’oggetto di emergere come presenza scultorea.
Progettare aria: un divano color crema appoggiato su un tappeto neutro è la base perfetta per ospitare una lampada da terra Déco in vetro fluted, senza distrarre l’occhio.
Opta per palette coordinate, non abbinate
Evita il tono su tono o il match perfetto col resto dello spazio. L’oggetto Déco deve inserire una nuova vibrazione cromatica: blu petrolio in un interno beige, ottone in uno spazio grigio chiaro, nero lucido in un living dai toni caldi. La sfumatura anticonvenzionale è parte del gioco.
Pro tip: accostare piccoli dettagli dello stesso metallo (es. pomelli porte o cornici quadri sottili in ottone satinato) aiuta a consolidare il “legame logico” dell’oggetto con lo spazio.
Non chiamarlo protagonista: lascia che sia scoperta
Un singolo pezzo Déco inserito in uno spazio contemporaneo funziona meglio se non viene dichiarato. Lascia che sia il visitatore a scoprirlo gradualmente: un effetto lento, che si sedimenta e dà identità allo spazio.
Funziona bene nei passaggi: ingressi, corridoi, angoli bar, librerie, pareti a vista laterale.
Scegli un pezzo firmato (o bene realizzato), sempre
Non basta il “gusto Déco”. L’oggetto scelto dev’essere impeccabile nella manifattura. Scegli realtà che lavorano materiali con cura: De Castelli, Baxter, CTO Lighting, Gallotti&Radice, Glas Italia, Lema, o brand artigianali con anima (Portego, Hannes Peer Design per arredi su misura).
Il takeaway del progettista
Un solo pezzo Art Déco messo bene non crea uno spazio vintage: crea uno spazio con memoria. In un’epoca di interni tutti uguali, un gesto colto e proporzionato può restituire carattere, cultura e bellezza a uno spazio senza appesantirlo.
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